sabato 5 maggio 2007

21 - SENZA DIFESE


Elettra Zupo, psicologa

Quando ho letto tra gli altri l’articolo intitolato “L’Urlo” ho pensato subito a Munch e a quel suo quadro intitolato “Il Grido” che pare rappresenti l’Angoscia esistenziale. Anche questo articolo, intenso e coraggioso, esprime angoscia e l’urlo di cui parla mi è parso da subito non tanto quello di un bambino quanto quello di un’adulta stanca e spaventata.

Ho ammirato il coraggio di rivelare emozioni e sentimenti che spesso ascolto nella zona protetta del mio studio, confessati con colpa e vergogna (pessimo binomio) dopo averli tenuti nascosti troppo a lungo dentro di sé.

Credo però che il lato oscuro non appartenga alla maternità, ma sia dentro ciascuno di noi e che eventi quali la maternità, ma non solo, contribuiscano anche violentemente a farlo emergere e, a volte, dirompere.
Le difese usate abitualmente per affrontare la vita, come a volte può essere il rifugiarsi in fantasie o il controllo o altro, sembrano subire un crollo, si indeboliscono e ci lasciano indifesi.
Emerge allora il Lato Oscuro, la parte interna di noi che non apprezziamo, che non soddisfa il nostro “Io ideale” perché prova sentimenti “cattivi”: odia, invidia, teme, si sente umiliata, aggredita ecc.

Il Dottor J. Sandler, eminente personalità psicoanalitica, ha mostrato quanto sia complesso il formarsi dell’Ideale dell’Io. In questo concetto possiamo ritrovare sia le immagini idealizzate dei genitori che la rappresentazione del bambino ideale che si è sentito di dover realizzare per i genitori e, finalmente (dico io), anche l’idea di persona che noi stessi vorremmo essere.
Spesso questi aspetti contrastano tra loro e soddisfarli diventa difficilissimo, ma è ovvio che il benessere psichico dipende dal realizzare questo ideale interno che ci fa sentire bravi e quindi sereni.
I primi mesi di accudimento del bambino sono un periodo affascinante, ma tremendo perché ci costringe ad affrontare molteplici prove, spesso nella solitudine e nell’insicurezza del “non-conosciuto”. È vero. Bowlby ha scritto molto al riguardo: è difficile decifrare il pianto del bambino; è difficile “cambiare”, ma non c’è niente da fare, non siamo più solo figli, ma “genitori” con tante responsabilità che ci spaventano. C’è poi il dannato ideale che da dentro ci dice che non ce la facciamo, non siamo all’altezza, non siamo più noi!
E allora sale l’ansia, la paura, la rabbia: “Non c’è più succo da spremere!” scrive Eleonora.
Il desiderio è solo quello di rimuovere l’angoscia e tornare come prima. È per questo che si vorrebbe aprire la finestra, non per buttare realmente il bambino giù, ma per gettare questi sentimenti che ci fanno soffrire. Ricordate che i contenuti delle fantasie come delle fobie sono rappresentazioni simboliche, non reali. Ripeto: non è il bambino di cui vogliamo liberarci, ma di quella parte di noi che ci fa sentire in colpa e di cui noi per prime siamo giudici feroci.
Ha ragione Elisabetta: non sempre è bene preservare sé, quanto piuttosto cambiarlo in meglio, in una relazione con sé stessi più accettante e comprensiva, quindi più forte e matura.

Ed ora un messaggio incoraggiante perché voglio prepararvi al futuro, così non vi farete sorprendere: verranno altri momenti in cui si vorrà aprire la finestra, con il partner, gli amici, i colleghi… e ancora con l’amato figlio/a… per esempio in adolescenza… e ci vorrà una finestra grande, perché avrete tanta voglia di buttare con lui/lei anche il suo corredo: il cellulare perennemente acceso, lo stereo assordante, i cd, calzini più o meno sporchi, sciarpe, berretti ecc.
Sarà però un desiderio più sopportabile se sarete più tolleranti verso voi stesse e i vostri limiti.

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