sabato 5 maggio 2007

16 - SKLERO


A., mamma
Non dire una parola che non sia d'amore (G. L. Ferretti)

Stamattina ho avuto un momento di sklero totale, come te, quella volta che hai lanciato il telefonino. Avrei tirato la sedia contro un muro! L’ho pure tirata, ma era leggera e allora la spingevo per terra, sul quel pavimento fantastico
di gomma che hai messo con tanta fatica in cucina e che è una figata (quindi nessun danno). Adesso ho già un po’ rimosso.

Ieri sera mi hai dato della subdola: che fallimento! Che fastidio quando ti impunti, invece che essere comprensivo!
Ma ora che ci penso: comprensivo lo devi per forza essere stato - e a volte me ne sono anche resa conto.
Comprensivo, sì, e anche tanto: spero che tu lo rimanga anche dopo che è nato il bambino. Ecco, per esempio, una delle paure della maternità: questo stato di protezione finirà?

Per fortuna stamattina, mentre skleravo, invece di mandarti un messaggino tra il lamentoso e l’incazzato, ho deciso invece di chiamare un’amica.
Prima cercavo di riassumere tutto in due invii per renderti noto il mio stato, pensando di aver bisogno di qualcuno che mi calmasse. Povero bambino dentro la pancia: cosa gli sto facendo? Con ‘sti singhiozzi e questi urli isterici, appena un po’ repressi, e i due tiri di tabacco di ieri sera... Invece ho chiamato la mia amica. In lacrime.
- "Ciao, sono incazzata! Sto tirando le sedie per terra!"
Per fortuna che c'è qualcuno a cui posso dire così, che sa reagire senza farmi ancora più incazzare. Mi dice assolutamente di calmarmi, di respirare, di dire piuttosto venti padre nostri, visto che lo yoga, ahimè, viene bene solo quando si è già un po’ calmi. Poi arriviamo presto al punto: le parlo dalla litigata della sera prima, a proposito di stupidissimi mobili da eliminare, al fatto che tu sei andato a lavorare alle sei di tua propria iniziativa, al fatto che insomma io vorrei stare tutto il tempo con te - magari non proprio questo, ma… boh… insomma... decisamente ti vorrei più con me.
E temo, temo che tu non voglia stare con me… non dico al momento del parto, ma in generale.
Temo terribilmente, anche solo per alcuni secondi, che tu in realtà non mi vuoi, non mi ami, mi senti come un dovere.
E temo, temo di separarmi da te un giorno, come se fosse il dramma più grande, lo scenario più indesiderato…
Un’altra sicura paura nella maternità: e se non ci sarà amore?
Tu invece pensi a farti un culo esagerato per mettere tutta la casa a posto, pensi al lavoro e ti devi anche sentire in colpa...
E ancora, ancora altri dettagli; fino ad arrivare alla conclusione che comunque ‘sta storia di diventare genitori è un bouleversement (uno sconvoglimento) per te come per me. Poi ritorno al mio problema, accantonando il tuo (lo dico sempre agli altri di risolvere prima i propri problemi, di cambiare se stessi e solo dopo studiare gli altri, individuare cosa potrebbero cambiare... Be’, allora lo devo fare anch'io, no?), mi accorgo che è un problema analogo al tuo: non sarò più solo figlia, sarò anche madre. La mia nuova identità.

Sì, al di là di tutto, mobili, tempo, amore, è questa nuova identità che aspettiamo (baby, io madre e lui padre) ad essere un problema. Non ce ne sono altri, di tipo materiale. È che siamo abituati, così abituati a pensarci individualmente, che il cambiamento crea traumi, è sentito come un vero, fondamentale, cruciale, incredibile bouleversement. Allora reagiamo come possiamo, ognuno in maniera diversa, soprattutto se uomo o donna. Non siamo perfetti. Se non fossimo così individualisti avremmo meno da pensare intorno ai problemi della nascita, ai traumi della coppia, etc etc...
Non è che siamo egoisti, è proprio la nostra cultura di fondo, il nostro modo di relazionarci come individui. Allora io futura mamma, come individuo, devo concentrarmi sull’avvento che mi incarna in questo momento. E lo farò. Così tutto il resto si armonizzerà con questa, che è la cosa più certa, più vera, più pura e naturale che sta per compiersi: la realtà al di là di tutti i nervosismi e le esigenze, posso anche pensare di spostarli io i mobili… be’, ecco, non proprio io, ma farli spostare io... Insomma, pensare che di avventi di bambini ne accadono in migliaia di situazioni diverse (e fra tanti mobili diversi) mi potrebbe semplicemente aiutare.

Poi basta. Mi sono calmata. La mia amica mi ha anche raccontato un episodio di una storia d'amore magica e decisamente mi sono calmata. Casualmente è seguita una mattinata di molte altre parole al telefono, sempre a teorizzare e analizzare problemi di relazioni di coppia, con mia sorella, che in certi casi mi presenta delle situazioni in cui mi immedesimo esattamente al contrario, quindi mi servono molto, mi preparano...

In conclusione, non so bene che dire. Rimane che ti vorrei vicino a sorridere con me, vorrei che non ci fosse nessun altro che noi nella tua testa. Nel momento di massima tristezza, in cui era più forte la sensazione di incomunicabilità tra noi, ieri sera mi era passata tutta la voglia di essere madre - madre di tuo figlio. Era incredibile da pensare, ma era vero.
Adesso invece penso che ti farò vedere le mie debolezze e allo stesso tempo cercherò di superarle, di superare il mio individualismo con un po’ di forza d'animo.
Cos'è poi questa forza d'animo? Secondo me c'entra con la capacità di perseverare nel vedere l'amore e nell'esprimerlo.
Per fortuna che ti ho sempre chiamato amore. E poi… niente: c'entra anche con un poco di pazienza. Perchè verrà il tempo per ogni cosa. Ora il tempo, a tre giorni dalla scadenza, è un tempo che sfido chiunque e definire.

Sono così felice, e talmente voglia di piangere, di non pronunciare né pensare nessuna parola; o almeno nessuna parola che non sia d'amore.

Nessun commento: