sabato 5 maggio 2007

19 - QUI AD OTTAVIA


L. V., mamma

C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle… *

Quanta forza, quanta sotterranea e insospettata forza nell’essere genitori!L’ho vista emergere nelle mamme e nei papà dei bambini ammalati, nei reparti di neurologia, di neurochirurgia; in quelli di oncologia, di terapia intensiva… L’ho vista manifestarsi potentemente, tanto più la situazione sembra disperata. Genitori vecchi o genitori giovani, chi con l’aria sprovveduta, chi con piglio sicuro, quelli risentiti e quelli stupefatti, quelli che pregano e quelli che inveiscono; ma quanta forza, alla fine, riescono a tirare fuori! Non ho visto nessuno scappare, nessuno darsi per vinto. Qualche volta dovrà pur succedere, io non l’ho visto. Tutti ad asciugarsi gli occhi e a rimboccarsi le maniche. Provate a fare un giro nei reparti che mi è capitato di frequentare. Vedrete genitori risoluti; genitori che, nonostante il loro dolore, non abbandonano la loro battaglia di speranza, sorridendo accanto ai loro bambini.La malattia di un figlio è una prova durissima. Destabilizza i progetti, inserisce nonsenso nella vita dei genitori, crea una sofferenza che sulle prime sembra insopportabile. In bilico tra ribellione ed eroismo, alla fine ciascuno trova una via di sopravvivenza, anche se fatica e solitudine sono sempre in agguato. Ho girato per quei dannati reparti e ho condiviso i giorni interminabili, le notti infinite. Ho visto trovare la forza e l’ho trovata, testimone partecipe.
Due mamme dialogano tra loro. Frasi essenziali e comunicazione profonda, urgente; a nudo sentimenti sinceri, niente pudore né moralismo. Coraggio e dolore. Anna rivisita la disperazione iniziale: "Se lo avessi saputo prima, non lo avrei tenuto. Mi avevano detto che non potevo fare l'amniocentesi perchè l'avrei perso. Quand'è nato avrei voluto ucciderli. Volevo uccidere. È stato un colpo troppo forte. A trent'anni, il primo figlio... uno se lo immagina come il principe azzurro. Lo dico anche adesso: non lo avrei tenuto - e sai quanto ho fatto, quanto faccio per lui. Mia mamma mi ha sempre dato ragione. Anche mio marito; si è spaventato! Perchè io sono andata in depressione… mi è andata bene: sono riuscita ad uscirne. Avrei potuto ucciderlo, avrei potuto uccidermi... cosa ci vuole? Questione di un attimo, e via. Chi ci sarebbe qui, ora, a pensare a lui?" Elena, invece, si fa forte di un'orgogliosa, consapevole scelta: “Io l’amniocentesi l’ho fatta e ho voluto tenerlo. Se se ne fosse andato da solo l’avrei accettato. Ma, per come sono fatta io, non mi sarei mai perdonata la scelta di non farlo nascere. L‘ho voluto e ancora adesso penso di aver fatto la scelta giusta. Non ho avuto mai ripensamenti. Non lo dico con la presunzione di essere, tra noi due, quella brava. Tu sei una brava mamma, lo so, te l’assicuro. Dipende dal carattere: io non potevo scegliere altrimenti”. Nelle loro parole c’è invidia per “le altre” – come non capirlo? E c’è il rispetto, il riconoscimento, la solidarietà e il sostegno che si danno reciprocamente. Forse è questo che alimenta quella loro forza e consente loro di andare avanti. - "Quello che non sopporto - dice Anna - è di sentir dire da quelle giovani, con figli belli e sani, che una mamma non ha diritto di scegliere di interrompere la gravidanza quando sa di avere un figlio malato. Cosa ne sanno!"
"Hai ragione - le risponde Elena - Noi ora sappiamo cosa significa. Anch'io, prima, non lo immaginavo"

Nei corridoi dei passi perduti ho sentito dire cose così. Mi crederete? Mi hanno confortata. Il dolore un senso non ce l’ha, però sembra portare con sé una maggior consapevolezza, la coscienza più compiuta della fragilità e della responsabilità.
… Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti di Ottavia è meno incerta che in altre città: sanno che più di tanto la rete non regge*

* Italo Calvino – Le città invisibili – Oscar Mondatori, 17a ed. - pag. 75

Nessun commento: