sabato 5 maggio 2007

20 - CHIUSA NEL MIO DOLORE


A., mamma
L’invidia degli dèi
Prima la sua vita e la mia erano felici - e non è quello che è venuto dopo a farmelo dire. Lo sapevamo anche allora, consapevoli della nostra fortuna e orgogliose, io di lei, lei di me: ci riconoscevamo una mamma e una figlia in gamba. Poi si è ammalata. Un incantesimo malefico, un’ombra nera si è distesa su di lei, su di me, su tutto il nostro mondo.
Tra poco è un anno. Inenarrabile, denso di esperienze e sentimenti estremi. Un anno che butta all’aria tutto, che ne vale molti e che tuttavia vorremmo solo cancellare. Un cammino duro, in salita; e la cima? Là, da qualche parte, nascosta nella nebbia…

Quando mancano le parole, quando funzionano male
Quando si cerca di esprimere la paura e l’angoscia, la voce si spegne in gola.
Ogni tentativo rischia fatalmente cadere nel compiacimento, in una esibizione che subito dopo appare ripugnante. Il centro più tenebroso di questa vasta ombra è l’impossibilità di rappresentarla. Incomunicabilità; non ci sono parole, non sono mai quelle giuste.
Se la funzione trasmittente è interrotta, la funzione ricevente è gravemente compromessa. Vortici di parole che vorrebbero essere di consolazione non fanno breccia: niente da fare, non raggiungono il nocciolo di dolore. Anzi, il più delle volte suscitano insofferenza, contrarietà.

Pensieri malati
Spesso insorgono rabbia, rancore, invidia, aggressività. Non succedeva frequentemente, prima. L’affiorare alla coscienza di questi cattivi sentimenti sembra anormale, “malato”. Essi dialogano vivacemente con i sentimenti buoni, e anziché starsene contenuti e repressi, vogliono spazio, reclamano sfogo. È consolante scoprire che è esperienza comune, tra noi due, tra noi e gli altri come noi: condizioni estreme sbloccano i freni inibitori. Meglio accettarsi, concedersi una propria salutare dose di cattiveria, senza sentirsi troppo in colpa. Ci mancherebbe, bisogna salvaguardare le forze: non è il momento di lasciarsi andare ad impulsi autodistruttivi.

Dell’inadeguatezza del linguaggio umano
Difficile comunicare, a volte impossibile. Si diventa esigenti, selettivi e sospettosi, pronti a cogliere nell’interlocutore un segnale fatale che interrompe irrimediabilmente il contatto. Basta uno sguardo distratto lanciato di là, un commento incongruo, una battuta a vuoto che denuncia disagio, distacco, superficialità o paura. Perché si mantenga il filo tenue della comunicazione, della fiducia, occorre un concorso di circostanze favorevoli: condivisione, capacità di ascolto, condizioni ambientali adeguate...
Se l’unico sollievo può venire dai propri simili, quant’è difficile ottenerlo!
La solidarietà è difficile, da dare e da ricevere.

Piccolo catalogo delle frasi di circostanza
“Siamo affranti, disperati; non riusciamo a darci pace!”
La partecipazione al dolore è troppo spesso un inganno: quanto più esibita, tanto meno sincera. Il pianto sulle disgrazie altrui è un rito propiziatorio, il pensiero inconfessabile è: Per fortuna è capitata a te, io l’ho scampata!.

“Vedrai, andrà tutto bene”
Un’urtante ostentazione di ottimismo. Evita le emozioni dolorose, rimuove l’argomento difficile, scivola via sulla pena senza nemmeno fermarsi a guardarla.

“Perché questa scelta? Quali prospettive?”
Tra mille dubbi, la scelta è sempre pesante, gravida di incognite; non ammette ripensamenti. Perché chiedere spiegazioni? Per puro esercizio dialettico o per documentazione personale? A vantaggio di chi?

“Al posto tuo farei così…”
Che carrellata di buone intenzioni , che trionfo di superficialità, quante gentili intrusioni fuori tempo e fuori luogo!
Parole come mosche: non fanno male a nessuno, ma che fastidio!
Quanti sorrisi sprecati in risposta a tanti inutili buoni consigli… Nemmeno la consolazione di una liberatoria, sana imprecazione!

“Poteva essere peggio”
Indubitabilmente vero, non c’è limite al peggio. E allora? Non avevo, non avevamo il diritto di aspirare al bene, come tutti? Perché dobbiamo accontentarci di un meno peggio? Abbiamo forse qualche colpa da scontare?

“Cosa fai stasera, che tempo fa, cos’hai mangiato?”
Mi hanno spiegato che la lingua ha, tra l’altro, una funzione fàtica, serve cioè a mantenere aperta la comunicazione (Pronto? Sei ancora in linea?). Liberatemi dagli sciami di parole espresse a puro scopo di ventilazione!

“Lassù c’è qualcuno che ci guarda”
Dov’è stato fino adesso? Se prima ci avessi creduto, adesso mi sarei ribellata. Non posso che rinsaldarmi nel pensiero: dio non c’è, oppure gioca a dadi. Nessun aiuto può giungere dalle nuvole, ora meno che mai.

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